Sappiamo come lo sviluppo di una resistenza agli antibiotici sia un fenomeno in rapida diffusione, attraverso un processo di evoluzione che interessa differenti microrganismi patogeni.
Proprio per il coinvolgimento di un vasto gruppo di nuovi ceppi resistenti, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità sta redigendo innanzitutto, una lista di priorità di intervento, cercando di identificare su quali microrganismi sia necessario attivare al più presto la ricerca, per l’identificazione di nuovi antibiotici in grado di contrastarne lo sviluppo.
A questo scopo, un gruppo di ricercatori internazionali ha sviluppato uno studio che ha valutato 20 specie batteriche, resistenti agli antibiotici, utilizzando un metodo di analisi basato su criteri multipli.
I risultati hanno quindi fornito una classifica finale prioritaria, basata su criteri ponderati da un gruppo di esperti.
I dieci criteri per valutare la priorità di intervento sono stati: mortalità, carico sanitario, peso per la comunità, prevalenza di resistenza, tendenza della resistenza a 10 anni, trasmissibilità, possibilità di prevenzione nell’assetto comunitario, prevenzione nel contesto dell’assistenza sanitaria, trattabilità e processo di sviluppo. La priorità è stata divisa in tre livelli: critica, alta e media.
I risultati hanno portato ad identificare come a priorità critica i seguenti batteri: Acinetobacter baumannii resistente ai carbapenemi, la Pseudomonas aeruginosa e le Enterobacteriaceae resistenti alle cefalosporine di terza generazione e ai carbapenemi.
Ricordiamo che l’Acinetobacter baumannii è un batterio Gram-negativo e può essere un agente patogeno opportunistico nell’uomo, colpendo le persone con un sistema immunitario compromesso, ed è ormai riconosciuto in tutto il mondo come il responsabile delle infezioni nosocomiali più difficili da controllare e trattare. Può sopravvivere per mesi su capi di abbigliamento, lenzuola, ventilatori e altre superfici ambientali.
I batteri Gram-positivi classificati come ad alta priorità sono stati: l’Enterococcus faecium resistente alla vancomicina e lo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina. Tra i batteri tipicamente responsabili delle infezioni acquisite in comunità, l’Helicobacter pylori resistente alla claritromicina, il Campylobacter spp resistente ai fluorochinoloni, la Neisseria gonorrhoeae e la Salmonella typhi sono stati inclusi nel livello ad alta priorità.
Sulla base di questi risultati gli autori del lavoro, pubblicato online su The Lancet – Infectious diseases, concludono auspicando che le future strategie di sviluppo nello sviluppo di nuovi antibiotici si concentrino su molecole destinate alla cura della tubercolosi resistente e dei batteri Gram-negativi. È inoltre raccomandato un intervento per batteri particolarmente diffusi nelle comunità e spesso resistenti agli antibiotici, quali Salmonella spp, Campylobacter spp, Nisseria gonorrhoeae e Helicobacter pylori.
Proprio riguardo quest’ultimo microrganismo, va ricordato che la sua cura si basa solitamente su una politerapia antibiotica con amoxicillina, claritromicina e metronidazolo. Nel corso degli anni alcuni ceppi hanno sviluppato una resistenza, in particolare nei confronti di questi due ultimi antibiotici. Dai dati disponibili sembra che una resistenza nei confronti del metronidazolo si possa verificare in oltre il 50% dei casi.
Le ragioni che possono spiegare lo sviluppo di questa antibiotico-resistenza sono probabilmente molteplici. Da un lato vi sono la larga diffusione di questo battere e l’intensità delle cure volte alla sua eradicazione, volte a scongiurare il rischio neoplastico associato alla presenza del microrganismo. D’altra parte, l’azione degli antibiotici a livello gastrico viene indebolita dall’ambiente acido in cui si trovano, sfavorendo così la loro azione nei confronti dell’Helicobacter pylori.
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