La flora batterica intestinale riveste un ruolo importantissimo per la salute e nel corso degli ultimi anni molti studi hanno dimostrato sempre più larghe interazioni tra le funzioni dei batteri intestinali e lo sviluppo di differenti malattie, intestinali e sistemiche, tra cui alcuni tipi di tumore.
Uno dei processi che avvengono nell’ambiente intestinale ad opera dei batteri è la produzione di acidi grassi a catena corta attraverso la fermentazione dei carboidrati.
La carenza di questo tipo di acidi grassi è stata associata a diverse malattie, tra cui il diabete di tipo 2.
Perché i batteri intestinali producano acidi grassi a catena corta è indispensabile che vengano introdotti carboidrati, ma questa produzione è influenzata significativamente anche dalla disponibilità di fibre alimentari.
Un recente studio, pubblicato sul numero del 9 marzo di Science, ha valutato gli effetti di grandi quantità di fibre alimentari, derivate da differenti fonti alimentari, sul diabete tipo 2, associando composizione e funzioni del microbiota intestinale e variazioni del profilo glicemico.
I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi: gruppo di controllo, che assumeva cure standard per il diabete; gruppo di trattamento, che assumeva una dieta ad alto tenore di fibre, composta da cereali integrali, alimenti medicinali tradizionali cinesi e prebiotici. Entrambi i gruppi di pazienti venivano trattati con acarbosio.
L’analisi dei dati ottenuti ha permesso di evidenziare una diminuzione significativa dell’emoglobina glicata in entrambi i gruppi nella fase iniziale dello studio, ma dopo il 28° giorno di follow-up la riduzione è stata più accentuata nel gruppo di trattamento.
La percentuale di partecipanti che ha raggiunto un adeguato controllo glicemico (HbA1c <7%) alla fine del periodo di trattamento è risultata più alta nel gruppo che assumeva una dieta ricca di fibre (89% versus 50%). In questo stesso gruppo è stata inoltre osservata una maggiore riduzione del peso corporeo e migliori profili lipidici nel sangue rispetto ai soggetti di controllo.
Lo studio però non si è fermato qui e gli autori hanno voluto valutare anche il rapporto di causalità tra il microbiota intestinale e il miglioramento del controllo glicemico. Per questo hanno trapiantato il microbiota intestinale pre e post intervento dai pazienti in topi senza germi intestinali.
I topi che hanno ricevuto il microbiota postintervento dal gruppo di pazienti alimentati con dieta ricca di fibre, hanno evidenziato livelli più bassi di glucosio nel sangue a digiuno e post-prandiale. Questi risultati sembrano quini indicare che vi è un reale contributo causale del microbiota intestinale, modulato da fibre alimentari, nel miglioramento dell’omeostasi del glucosio.
Nel proseguire la sperimentazione, gli autori hanno poi valutato come l’aumento delle fibre alimentari alterasse la struttura globale del microbiota intestinale, attraverso un sequenziamento shotgun metagenomico.
È stato così evidenziato come i cambiamenti di composizione del microbiota intestinale erano associati a miglioramenti a livello clinico e che non è la ricchezza genetica globale di per sé, ma l’abbondanza di specifici geni funzionali a indurre cambiamenti nel microbiota intestinale favorevoli per la salute.
Si è visto inoltre come la produzione di acido butirrico, un acido grasso a catena corta, nell’intestino umano, è aumentato significativamente solo nel gruppo trattato con dieta ricca di fibre e che i geni che codificano per altri percorsi di produzione di questo tipo di acidi grassi, sono rimasti invariati o significativamente ridotti. Le concentrazioni di acido acetico sono risultate simili in entrambi i gruppi durante lo studio, aumentando fino al giorno 28 e diminuendo successivamente a livelli marginalmente più alti rispetto al basale, mentre le concentrazioni di acido butirrico sono aumentate significativamente solo nel gruppo trattato con dieta ricca di fibre.
Tra i batteri intestinali identificati, il Bifidobacterium pseudocatenulatum, è stato uno dei produttori di acidi grassi a catena corta più sviluppati in questo studio e la sua inoculazione ha indotto numerosi cambiamenti omeostatici positivi nei topi: riduzione del peso; riduzione del grasso corporeo, riduzione della glicemia a digiuno, riduzione della resistenza insulinica, miglioramento della risposta glicemica postprandiale.
Questi risultati dimostrano quindi che una maggiore disponibilità di carboidrati non digeribili, ma fermentabili, è in grado di indurre miglioramenti metabolici clinicamente rilevanti nei pazienti con diabete di tipo 2, con effetti più significativi e più rapidi quando la dieta include fibre alimentari.
L’identificazione di un gruppo specifico di produttori di acidi grassi a catena corta, in grado di controllare il diabete di tipo 2, apre nuove prospettive nel trattamento di questa malattia con metodi non farmacologici.
Franco Folino