Un gruppo di ricercatori, coordinati dal Karolinska Institutet di Stoccolma ha scoperto una forte associazione tra anticorpi antifosfolipidi (aPL), positività dell’immunoglobina G (IgG) e infarto miocardico.
I risultati sono stati pubblicati come Resarch Report sulla rivista Annals of Internal Medicine. Lo stesso lavoro è stato presentato anche al congresso dell’American College of Rheumatology, che si è tenuto a Chicago dal 19 al 24 ottobre.
Gli antifosfolipidi
Esiste una specifica sindrome che è caratterizzata dall’incremento di anticorpi antifosfolipidi: la sindrome antifosfolipidi. Nota anche come Anticardiolipina o sindrome di Hughes, è sostanzialmente una malattia autoimmune sistemica, caratterizzata da complicanze ostetriche e eventi trombotici, che colpiscono quasi tutti i sistemi d’organo. È diagnosticata in pazienti che presentano in modo persistente gli anticorpi antifosfolipidi. Il contributo di altri fattori, oltre agli stessi auto-anticorpi, nella patogenesi della sindrome antifosfolipidi sembra essere articolato in più percorsi che hanno come risultato comune una facilitazione della trombogenesi.
Anticorpi e rischio di infarto
I ricercatori svedesi hanno valutato la presenza di anticorpi antifosfolipidi e anticorpi antinucleari in 805 pazienti consecutivi, di età inferiore ai 75 anni, che sono stati ospedalizzati per un primo infarto miocardico in 17 ospedali svedesi tra il 2010 e il 2014. I risultati sono stati confrontati con un gruppo di controllo derivato dalla popolazione, identificato per età, sesso e regione.
I risultati hanno dimostrato come gli anticorpi valutati erano 10 volte più comuni nei pazienti con infarto miocardico rispetto ai pazienti di controllo. Inoltre, si è visto come la loro presenza era completamente indipendente da quella di altri tradizionali fattori di rischio cardiovascolare.
Nuove prospettive per la gestione dei pazienti con infarto miocardico
Secondo i ricercatori, questi risultati potrebbero portare a una migliore gestione, un più efficace trattamento e a migliori esiti clinici complessivi, sia nei pazienti con infarto miocardico, sia in quelli alto rischio cardiovascolare.
Nuove prospettive sembrano però aprirsi anche nella stratificazione del rischio per l’infarto miocardico e per eventuali misure preventive mirate.