La malattia del tronco comune della coronarica sinistra, presente nel 5-9% dei pazienti con angina pectoris, si associata ad un alto rischio di mortalità se trattata con terapia medica. Per diversi decenni il by-pass coronarico è stato considerato il trattamento di prima scelta per questi pazienti. Tuttavia, l’affinamento delle tecniche di rivascolarizzazione percutanea ha fatto sì che la procedura meno invasiva si ponesse come alternativa.
Le recentissime linee guida della Società Europea di Cardiologia (2018) in tema di rivascolarizzazione coronarica affermano che le prove disponibili dai trial clinici e dalle meta-analisi che hanno confrontato by-pass e procedura transcatetere, portano a risultati equivalenti per il composito di morte, infarto e ictus, fino a 5 anni di follow-up.
Il documento conclude considerando l’angioplastica un’alternativa appropriata al by-pass nella malattia del tronco comune con una complessità anatomica bassa e intermedia.
Al contrario, per i pazienti con alta complessità anatomica si osserva che, a causa dello scarso numero di pazienti studiati, le stime di rischio sono imprecise, ma suggeriscono una tendenza verso una migliore sopravvivenza con by-pass. In questi casi quindi il trattamento transcatetere non viene raccomandato.
Oltre i 5 anni
Un gruppo di ricercatori coreani ha voluto guardare oltre il limite dei cinque anni, confrontato gli esiti clinici delle due procedure, dopo un intervallo di follow-up di 10 anni.
Lo studio, pubblicato sul JACC, ha utilizzato i dati raccolti nel registro MAINCOMPARE per valutare oltre 2.000 pazienti con malattia del tronco comune dell’arteria coronaria sinistra, non protetta, sottoposti a rivascolarizzazione transcatetere (1.102) o sottoposti a intervento chirurgico di by-pass (1.138). Il follow-up minimo è stato di 10 anni, quello mediano di 12 anni.
Nella coorte generale, non vi è stata alcuna differenza significativa nei rischi aggiustati di morte e negli esiti compositi (morte, infarto e ictus), fino a 10 anni. Il rischio di rivascolarizzazione del vaso bersaglio era invece significativamente più alto nel gruppo trattato con procedura percutanea.
Nella coorte che ha confrontato gli stent a rilascio di farmaco e il by-pass, i due gruppi di studio non hanno mostrato differenze significative nei rischi di morte e negli esiti compositi a 5 anni. Dopo i 5 anni però, gli stent si associavano a un rischio più elevato di morte e degli esiti compositi, con Hazard Ratio rispettivamente di 1,35 e 1,46.
Risultati controversi
Guardando gli esiti clinici a 5 anni, si osserva quindi che il by-pass è gravato da una minore mortalità e da minori esiti compositi, rispetto all’angioplastica transcatetere. A 10 anni però il trattamento percutaneo ha mostrato tassi di mortalità e di esiti compositi simili al by-pass, ma un tasso più elevato di rivascolarizzazione del vaso bersaglio.
Confrontando stent a rilascio di farmaco e by-pass, l’analisi oltre i 5 anni sembra penalizzare ancor di più l’angioplastica, con un maggior rischio di morte e di esiti compositi.
L’angioplastica transcatetere è meno invasiva, riduce la durata dell’ospedalizzazione ed evita la disabilità del recupero chirurgico. Guardando però agli esiti clinici, questa analisi a 10 anni sembra confermare il by-pass come trattamento di scelta.
Franco Folino