Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un progressivo diffondersi di associazioni farmacologiche precostituite per il trattamento dell’ipertensione arteriosa. Le ragioni di questa progressiva diffusione sono differenti, e probabilmente non dipendono solo da necessità di razionalizzazione posologica. Al di là delle motivazioni oggettive che hanno spinto al loro sviluppo è importante conoscerne la reale efficacia.
Un recente studio, pubblicato sulla rivista JAMA, ha approfondito questo aspetto, evidenziando come il trattamento con una pillola contenente basse dosi di 3 farmaci antipertensivi, ha portato a un aumento della percentuale di pazienti che raggiungono il loro obiettivo di pressione arteriosa, rispetto a chi utilizzava cure standard.
Il trattamento con una triplice associazione farmacologica: lo studio
Lo studio aveva un disegno randomizzato, in aperto, e venivano confrontati una terapia a basse dosi di tre farmaci antipertensivi associati e un trattamento tradizionale. I 700 soggetti studiati erano adulti, con ipertensione lieve o moderata (pressione sistolica >140 mmHg e/o diastolica >90 mmHg o, in pazienti con diabete o malattia renale cronica >130 mmHg e/o >80 mmHg). Erano già in trattamento per l’ipertensione o dovevano essere avviati ad una terapia ex novo. Tutti sono stati arruolati in 11 cliniche ospedaliere urbane dello Sri Lanka e la loro età media era di 56 anni.
La triplice associazione comprendeva 20 mg di telmisartan, 2,5 mg di amlodipina e 12,5 mg di clortalidone e veniva assunta una volta al giorno. Era disponibile anche un trattamento con una associazione a dosaggi raddoppiati di ciascuno dei tre componenti. L’endpoint primario era la percentuale di raggiungimento della pressione sistolica/diastolica target (<140/90 mmHg o <130/80 mmHg in pazienti con diabete o malattia renale cronica) a 6 mesi.
Ipertensione arteriosa: i risultati dello studio
La pillola combinata ha evidenziato una maggiore proporzione di soggetti che hanno raggiunto il target pressorio rispetto al trattamento standard (70% versus 55%). La pressione sistolica/diastolica media a 6 mesi è stata di 125/76mmHg per la triplice associazione e 134/81mmHg per le cure standard.
Sono stati segnalati 419 eventi avversi: nel 38% dei pazienti con triplice associazione e nel 35% dei pazienti in terapia standard. I più comuni sono stati disturbi muscoloscheletrici, vertigini, presincope o sincope.
Non ci sono state differenze significative tra i due gruppi, nella proporzione di sospensione del trattamento a causa di eventi avversi.
A 6 mesi, il 65% dei pazienti nel gruppo con trattamento standard era in monoterapia e il 29% assumeva due farmaci antipertensivi. Nel gruppo trattato con la triplice associazione, solo il 3% dei pazienti era passato alla dose più alta.
Lo studio non ha peraltro evidenziato alcun miglioramento nell’aderenza (auto-riportata) dei farmaci assunti, confrontando i due gruppi di pazienti.
Tutti questi risultati sono concordi nell’indicare una migliore efficacia della terapia con una triplice associazione precostituita rispetto alle cure standard. È peraltro evidente che l’indicazione a questo trattamento composto, deve essere strettamente legata alle specifiche caratteristiche cliniche del soggetto iperteso.
Franco Folino