I test non invasivi comunemente utilizzati per diagnosticare una cardiopatia coronarica sono differenti e dal loro esito dipende la scelta di iniziare una terapia specifica o la decisione di procedere con un approfondimento diagnostico angiografico.
Una recente metanalisi, apparsa sulle pagine del British Medical Journal, analizza tutte le differenti metodiche disponibili, per valutarne le differenze a confronto con la necessità di richiedere test successivi, l’eventuale procedura di rivascolarizzazione e i risultati clinici.
Sono stati inclusi nell’analisi 30 studi clinici controllati, randomizzati, con complessivi 33.391 pazienti.
I pazienti con sindrome coronarica acuta a basso rischio, l’eco stress, la risonanza magnetica cardiaca e l’elettrocardiogramma da sforzo hanno fatto ridurre il numero di richieste per una valutazione angiografica e per le procedure di rivascolarizzazione, rispetto ai test anatomici non invasivi, quali l’angio TAC coronarica, senza apparente impatto sul rischio futuro di infarto miocardico.
Per quanto concerne i pazienti con sospetta malattia coronarica stabile, non è emersa una chiara discriminazione tra le strategie diagnostiche che portano ad una successiva necessità di un’angiografia coronarica, e non è stato possibile escludere differenze nel rischio di infarto miocardico.
È interessante osservare come l’elettrocardiogramma da sforzo abbia indotto la più alta percentuale di richiesta di ulteriori test di livello successivo.