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Riprendere un trattamento anticoagulante dopo un’emorragia intracranica si può e riduce la mortalità

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L’emorragia intracranica è la più temuta delle complicanze in pazienti che seguono un trattamento con anticoagulanti orali. L’ictus che ne deriva può avere un impatto variabile sulla vita del paziente, a seconda della sua estensione e della sua localizzazione.

Nei pazienti in cui l’evento clinico viene superato, si pone il problema di riprendere o meno il trattamento anticoagulante, valutando la gravità del rischio trombotico intercorrente.

Un recente studio, apparso su Annals of Neurology, ha valutato come la ripresa di questo trattamento, in pazienti con emorragia cerebrale lobare e non lobare, possa influenzare le recidive di ictus per qualsiasi causa, esiti funzionali e mortalità nel lungo termine.

L’analisi è stata sviluppata utilizzando i dati provenienti da tre studi clinici: il RETRACE (multicentrico, Germania), uno studio condotto al Massachusetts General Hospital di Boston e lo studio ERICH (multicentrico, Stati Uniti).

I pazienti inclusi nello studio sono stati complessivamente 1.012, di cui 633 con emorragia cerebrale non lobare e 379 con emorragia cerebrale lobare. Il CHA2DS2-VASc mediano in tutti gli studi era 5, il punteggio HAS-BLED mediano era 3.

Il trattamento anticoagulante è stato ripreso nel 28% dei pazienti con emorragia cerebrale non lobare e nel 23% di quelli con emorragia lobare.

A un anno dall’ictus emorragico il 30% dei pazienti con evento non lobare e il 33% di quelli con emorragia lobare erano deceduti.

I risultati indicano per entrambi i gruppi, un’associazione tra ripresa del trattamento anticoagulante e diminuzione della mortalità. Non è stata rilevata nessuna correlazione tra mortalità precoce e ripresa del trattamento anticoagulante in entrambi i gruppi.

Tra i pazienti con emorragia cerebrale non lobare si sono verificate nel corso del follow-up, 18 recidive emorragiche e 58 ictus ischemici. La ripresa del trattamento anticoagulante in questo gruppo ha portato a una diminuzione dell’incidenza di ictus ischemico, senza evidenziare un incremento degli ictus emorragici.

Nel gruppo di pazienti con emorragia lobare, si sono verificati nel follow-up 21 recidive emorragiche e 27 ictus ischemici. Anche in questo caso la ripresa del trattamento con anticoagulanti orali si associava a una diminuita incidenza di ictus per qualsiasi causa e di ictus ischemico.

Nel corso di un follow-up prolungato fino a quasi quattro anni, i risultati sono stati simili.

Questo studio getta una nuova luce su una situazione clinica di estrema criticità, dove il rischio trombotico si sovrappone a quello emorragico in modo rilevante. L’evento emorragico porta in genere a un atteggiamento difensivo nei confronti di successivi eventi simili, lasciando in secondo piano il rischio trombotico, pur persistente. Quest’analisi dimostra che, almeno nei pazienti con rischio trombotico elevato, va considerata con maggior sicurezza la ripresa del trattamento anticoagulante, anche se le attuali linee guida sull’argomento forniscono indicazioni più prudenziali.

Non ci resta che sperare che questo studio induca a ulteriori sperimentazioni in questo senso, per avere presto informazioni sull’opportunità della ripresa del trattamento anticoagulante, con una precisa identificazione dei pazienti che maggiormente ne possono beneficiare.

 

Cover image for Vol. 82 Issue 5

 

Alessandro Biffi, et al. Oral Anticoagulation and Functional Outcome after Intracerebral Hemorrhage. ANN NEUROL 2017;82:755–765.

 

 

 

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