Sono state recentemente pubblicate le nuove linee guida AHA/ACC/HRS sulla gestione del paziente con aritmie ventricolari e per la prevenzione della morte improvvisa.
Il documento inizia con una schematica presentazione della classificazione delle aritmie ventricolari, analizzando inoltre i principali meccanismi elettrofisiologici responsabili del loro innesco.
Sono quindi analizzati in dettaglio i test diagnostici più opportuni in questi pazienti, da quelli non invasivi, fino allo studio elettrofisiologico intracavitario e al cateterismo cardiaco.
Si entra quindi in una dettagliata rassegna dei farmaci raccomandati per il trattamento delle aritmie ventricolari, dove per ogni molecola sono indicati i dosaggi, gli effetti elettrofisiologici e gli effetti avversi più comuni.
Per quanto riguarda la prevenzione della morte cardiaca improvvisa, è raccomandato (classe I) un trattamento con ß-bloccanti, un antagonista recettoriale dei mineralcorticoidi, un ACE-inibitore, un bloccante recettoriale dell’angiotensina o un inibitore della neprilisina, nei pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione inferiore o uguale al 40% al fine di ridurre il rischio di morte improvvisa e la mortalità complessiva.
Nei pazienti con cardiopatia coronarica, sopravvissuti a un arresto cardiaco dovuto a tachicardia o fibrillazione ventricolare, viene raccomandato l’impianto di un defibrillatore (Classe I). Stessa raccomandazione vale per i pazienti con cardiopatia coronarica e sincope di origine indeterminata, con tachicardia ventricolare sostenuta, monomorfa, inducibile allo studio elettrofisiologico.
Per quanto riguarda la prevenzione primaria in pazienti con cardiopatia coronarica, l’impianto di un ICD è raccomandato in classe I nei seguenti casi:
- Pazienti con FE ≤35% ad almeno 40 giorni da un infarto miocardico e almeno 90 giorni dopo la procedura di rivascolarizzazione, con una classe NYHA II o III, nonostante una terapia farmacologica adeguata.
- Pazienti con FE ≤30% ad almeno 40 giorni da un infarto miocardico e almeno 90 giorni dopo la procedura di rivascolarizzazione, con una classe NYHA I, nonostante una terapia farmacologica adeguata.
- Pazienti con FE ≤40% con tachicardia ventricolare non sostenuta, dovuta a un precedente infarto miocardico e tachicardia ventricolare sostenuta o fibrillazione ventricolare inducibile allo studio elettrofisiologico.
Per i pazienti con miocardiopatia primitiva, non ischemica, l’impianto di un ICD è raccomandato in classe I in pazienti sopravvissuti a un arresto cardiaco, dovuto a tachicardia o fibrillazione ventricolare, o se hanno avuto una tachicardia ventricolare emodinamicamente instabile o una tachicardia ventricolare emodinamicamente stabile non dovuta a cause reversibili. Stessa raccomandazione vale per i pazienti con scompenso cardiaco (Classe NYHA II-III) e una FE ≤35%.
Infine vengono fornite raccomandazioni per il trattamento di pazienti con specifiche patologie aritmiche, come la miocardiopatia aritmogena del ventricolo destro, la sindrome di Brugada e la cardiomiopatia ipertrofica. Tra le molte presentate indichiamo quanto raccomandato per due condizioni particolari, le sindromi del QT lungo e del QT corto.
Nel primo caso viene proposto un trattamento con ß-bloccanti in pazienti con un QTc a riposo >470msec. In pazienti ad alto rischio, in cui il trattamento con ß-bloccanti sia inefficace o non tollerato, viene raccomandata un’intensificazione del trattamento con altri farmaci, una denervazione simpatica o l’impianto di un ICD.
Per quanto riguarda la sindrome del QT corto, il riscontro di un intervallo QTc ≤320 msec in soggetti asintomatici richiede un monitoraggio periodico senza specifici trattamenti farmacologici. Valori di QTc particolarmente accorciati (≤300 msec) si associano a un aumento del rischio di morte improvvisa, specialmente durante il sonno o il riposo. In pazienti con sindrome del QT corto che hanno avuto un arresto cardiaco o aritmie ventricolari sostenute, viene raccomandato l’impianto di un ICD.
Franco Folino