Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, le persone affette da diabete in tutto il mondo sono circa 346 milioni e si stima che i decessi correlabili a questa patologia siano destinati a raddoppiare tra il 2005 e il 2030.
I dati riportati nell’annuario statistico ISTAT 2015 indicano che è diabetico il 5,4% degli italiani, vale a dire oltre 3 milioni di persone. La prevalenza della malattia, standardizzata per età e sesso, è passata dal 3,9% nel 2001 al 4,7% nel 2015 (Grafico).
A conferma di questa tendenza arriva un articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine che analizza le variazioni di incidenza del diabete nel periodo 2002-2012, negli Stati Uniti in una popolazione di soggetti giovani.
Nell’analisi del periodo considerato, sono stati identificati in totale 11.245 giovani (0-19 anni) con diabete di tipo 1 (una media di circa 4,9 milioni di giovani ogni anno), e 2.846 giovani (10- 19 anni) con diabete di tipo 2 (circa 2,5 milioni di giovani ogni anno).
E’ stata inoltre evidenziata una significativa tendenza all’aumento dell’incidenza del diabete di tipo 1, passando da 19,5 casi per 100.000 giovani all’anno nel 2002-2003 a 21.7 casi per 100.000 giovani all’anno nel 2011-2012, con un incremento annuo dell’1,4%, pur con notevoli variazioni nei sottogruppi per età, sesso o razza. Ad esempio, l’incidenza di diabete tipo 1 è incrementata tra i giovani ispanici, ma non in altri gruppi razziali o etnici.
Anche il diabete tipo 2 ha evidenziato un incremento progressivo di incidenza nel tempo, tra i giovani compresi nella fascia 10-19, passando da 9 casi per 100.000 giovani all’anno nel periodo 2002-2003 a 12,5 casi per 100.000 giovani all’anno nel periodo 2011-2012, con un incremento medio annuale del 7,1%. Questo aumento è stato osservato in tutti i sottogruppi, tranne che tra i bianchi non ispanici e tra i giovani dell’Ohio.
Pur con alcune variabilità legate alla razza e all’etnicità dei soggetti valutati, lo studio evidenzia comunque con chiarezza un costante aumento dell’incidenza del diabete di tipo 1 e di tipo 2 nei giovani. Sono risultati che impongono una maggiore sorveglianza della popolazione giovanile, non solo per la diagnosi precoce della malattia, ma per intraprendere dedicati percorsi di prevenzione e cura.