L’invenzione di angioplastica con palloncino come trattamento percutaneo per la malattia coronarica ostruttiva, introdotta da Andreas Grüntzig, nel 1977, è stata un enorme balzo in avanti nella medicina cardiovascolare e sarà sempre ricordato come una rivoluzione nel campo della rivascolarizzazione. Altre due rivoluzioni sono seguite, l’avvento degli stent metallici e quella degli stent medicati, che hanno fornito una soluzione a molti problemi, in particolare all’occlusione subacuta e alla restenosi dell’angioplastica.
Gli stent non sono però privi di problemi, quali ad esempio l’alterazione delle dinamiche dei flussi, l’abolizione della reattività vascolare, l’induzione di processi infiammatori e di anomalie della funzione endoteliale.
Salvo pochi casi, in cui le peculiari condizioni cliniche del paziente sconsiglino l’uso di stent medicati, questi dispositivi sono impiantati al giorno d’oggi pressoché in tutte le procedure di rivascolarizzazione.
Ma quali sono i vantaggi reali di questo tipo di stent?
Risponde a questa domanda un lavoro pubblicato sul numero del 29 settembre del New England Journal of Medicine, che ad opera di un gruppo di ricercatori norvegesi confronta, in un follow-up di 6 anni, i due tipi di stent: medicato e non medicato.
L’outcome primario era un composito di morte per qualsiasi causa e infarto miocardico non fatale. Gli end point secondari erano la ripetizione della rivascolarizzazione, la trombosi intrastent e la qualità della vita.
Il gruppo di soggetti trattati con stent medicato era composto da 4504 pazienti, quello con stent semplice da 4509.
L’end point primario si è verificato nel 16,6% dei soggetti inclusi nel gruppo che aveva ricevuto lo stent medicato e nel 17,1% degli altri (p= 0.66).
Non sono state rilevate differenze significative tra i due gruppi neppure nei tassi di mortalità cardiaca, non –cardiaca e vascolare, e nei tassi di ictus o di ospedalizzazione per angina instabile. Anche i casi di infarto miocardico sono stati simili nei due gruppi: 11,4 versus 12,5% (p= 0.14).
Al contrario, le procedure ripetute di rivascolarizzazione sono state minori nel gruppo di pazienti con stent medicato (16,5% versus 19,8%, P <0.001) così come, sia pur con una minima differenza, le trombosi intrastent (0,8% versus 1,2%; P= 0.0498).
I risultati ottenuti da questo studio europeo sono molto interessanti e forniscono un chiaro quadro di quelli che sono i reali vantaggi dell’utilizzo degli stent medicati, apparentemente limitati a ridurre il rischio di dover ripetere la procedura di rivascolarizzazione. Un vantaggio certamente rilevante, ma che smorza gli entusiasmi sui benefici generali di questo dispositivo.
L’utilizzo degli stent non medicati è oggigiorno preferito in pazienti in cui si temano eventi emorragici legati alla necessità di una doppia aggregazione prolungata, richiesta dagli stent medicati che, alla luce di quanto emerso dallo studio, potrebbero essere riservati quindi ad individui con un’alta probabilità di restenosi e di trombosi tardiva.