La vita media della popolazione si sta allungando progressivamente, ma purtroppo il processo di invecchiamento è gravato da condizioni cliniche che possono influenzare in modo estremamente negativo la qualità della vita.
Tra queste vi è la malattia di Alzheimer, una patologia neurodegenerativa cronica che si presenta con un progressivo declino cognitivo fino alla demenza.
Tra le differenti ipotesi eziopatogenetiche vi è quella che vede alla base della malattia un accumulo di peptide beta-amiloide (Aß) nel cervello, con conseguente disfunzione sinaptica e fenomeni degenerativi delle cellule nervose, che si esprime con alterazioni del comportamento. Il deposito di sostanza amiloide si accompagna a significative alterazioni infiammatorie, sia a livello del parenchima cerebrale che a livello della barriera ematoencefalica. Tuttavia è ancora controverso il fatto che l’infiammazione del tessuto nervoso osservata nell’invecchiamento e nella malattia di Alzheimer, associata con alterazioni del sistema immunitario periferico, sia responsabile di un’aumentata amiloidogenesi o di una ridotta clearance di sostanza amiloide cerebrale.
Ad oggi non vi sono terapia efficaci in grado di modificare il decorso di questa malattia. Tra i trattamenti proposti, pur con risultati promettenti, vi sono i chelanti degli ioni ferro, come la deferoxamina, o gli inibitori della trombina.
Riguardo ai depositi di amiloide, arrivano però promettenti risultati da un recente studio pubblicato su Nature che ha testato una terapia con anticorpi monoclonali che reagiscono selettivamente con gli aggregati Aß: l’aducanumab.
Si tratta di un’analisi ad interim dello studio PRIME, in cui 165 pazienti con malattia di Alzheimer prodromica o lieve, con evidenti depositi di Aß alla PET, sono stati randomizzati e trattati con infusioni endovenose mensili di placebo o aducanumab, alla dose di 1, 3, 6 o 10 mg kg-1, per un anno.
La PET ha evidenziato una riduzione delle placche di Aß nel cervello nei soggetti trattati con aducanumab. Al contrario, il cambiamento nel gruppo di controllo è stato minimo.
Anche se le valutazioni cliniche erano di tipo esplorativo, in quanto lo studio non era adeguatamente dimensionato per rivelare cambiamenti in questo senso, è stato osservato un rallentamento nella progressione clinica della malattia nei pazienti in trattamento attivo, più evidente in quelli che assumevano il dosaggio maggiore del farmaco, secondo un’analisi condotta sui punteggi ottenuti al “Clinical Dementia Rating—Sum of Boxes” e al “Mini Mental State Examination”.
Gli effetti indesiderati più comuni sono stati un edema vasogenico cerebrale, cefalea, infezioni delle vie urinarie e infezioni del tratto respiratorio superiore.
I risultati questo interessante studio sembrano quindi indicare come il trattamento con aducanumab riduca placche di sostanza amiloide cerebrali e, soprattutto, conferisca anche un beneficio clinico misurabile.