Nella pratica clinica quotidiana, in aderenza alle linee guida sull’argomento, è ormai consolidato l’uso della doppia antiaggregazione piastrinica nei pazienti che hanno subito un infarto del miocardio.
L’associazione di un trattamento con aspirina a farmaci quali il clopidogrel, il prasugrel, o il ticagrelor sembra però esercitare effetti protettivi nei confronti di eventi cardiovascolari anche oltre questo periodo.
Ulteriori conferme arrivano da un recente studio pubblicato sul British Medical Journal che ha confrontato le popolazioni di due precedenti sperimentazioni: il CALIBER (ClinicAl research using LInked Bespoke studies and Electronic health Records) e il PEGASUS-TIMI-54.
Il CALIBER è in sostanza un database elettronico che contiene dati di pazienti che sono considerati rappresentativi dell’intera popolazione dell’Inghilterra, in termini di età, sesso, etnia, e mortalità cardiovascolare complessiva. Da questa popolazione sono stati selezionati 7328 pazienti con una diagnosi di infarto miocardico, seguiti con un atteggiamento tipo “real life”, e stabili dopo un anno dall’evento. Da questo gruppo di pazienti sono state identificate altre due popolazioni derivate dal CALIBER. La prima considerata ad alto rischio, che includeva 5279 pazienti, la seconda chiamata “popolazione target” di 1676 pazienti, in base ai criteri di inclusione/esclusione dello studio PEGASUS-TIMI-54.
Quest’ultimo trial aveva in precedenza dimostrato che la doppia terapia antiaggregante con aspirina e ticagrelor, rispetto alla monoterapia con aspirina riduceva il rischio di morte cardiovascolare, infarto miocardico, o ictus del 16%, anche se aumentava corrispondentemente il rischio di sanguinamento.
L’endpoint composto considerato nell’attuale sperimentazione includeva infarto miocardico acuto, ictus, o morte cardiovascolare. Ovviamente sono stati considerati come endpoint anche i sanguinamenti.
I risultati hanno evidenziato innanzitutto che i pazienti che sopravvivono un anno o più dopo l’infarto miocardico rimangono a rischio di ulteriori eventi cardiovascolari. D’altra parte confermano i potenziali benefici della doppia terapia antiaggregante nei pazienti studiati, anche oltre un anno dopo l’evento indice.
In particolare, gli autori hanno calcolato che nei pazienti trattati con due farmaci, si prevenivano 101 eventi ischemici ogni 10.000 pazienti trattati per la “popolazione target”, 116 e 92 per le popolazioni ad alto rischio e “real life”.
I sanguinamenti rilevati sono stati maggiori nei pazienti con il doppio trattamento, tra 75 e 58 casi, nelle tre popolazioni considerate.
Questi dati confermano ulteriormente il beneficio di prolungare la doppia terapia antiaggregante oltre un anno dall’evento acuto. Va peraltro sempre considerato il rischio di sanguinamento, in particolare in pazienti con precedente ictus o in trattamento con anticoagulanti orali.
OPEN ACCESS