La riduzione precoce dell’albuminuria indotta dal finenerone può portare a benefici tangibili sia per la salute renale che cardiovascolare nei pazienti con malattia renale cronica e diabete di tipo due.
E’ quanto emerge dai risultati di un’analisi post hoc di due studi randomizzati e controllati di fase 3 pubblicata sulla rivista Annals of Internal Medicine.
Il miglioramento del danno renale
Nei pazienti con insufficienza renale cronica e diabete di tipo 2, il finerenone, un antagonista non steroideo dei recettori dei mineralcorticoidi, riduce gli esiti avversi cardiovascolari e renali. Il finerenone abbassa anche il rapporto albumina/creatinina nelle urine (UACR). Non era finora noto se il cambiamento in questo rapporto indotto dal finerenone potesse mediare il miglioramento clinico in questi pazienti.
I ricercatori della Indiana University School of Medicine e collaboratori di tutto il mondo hanno analizzato i dati raccolti da due studi di fase 3 sul finerenone, per quantificare la proporzione di riduzioni del rischio renale e cardiovascolare osservate in un periodo di 4 anni. La riduzione del rischio è stata misurata da una variazione del danno renale indicata dalla variazione dell’UACR dal basale al quarto mese.
I risultati hanno mostrato che tra i pazienti con insufficienza renale cronica e diabete di tipo 2, il miglioramento del danno renale indotto dal finerenone sembrava mediare un’ampia percentuale di esiti renali a lungo termine e una modesta percentuale di esiti cardiovascolari.
Nello specifico, rispetto ai pazienti che avevano una riduzione dell’UACR inferiore al 30%, quelli con una riduzione dell’UACR pari o superiore al 30% avevano meno eventi compositi di esiti renali e cardiovascolari compositi.
Secondo gli autori, questi risultati sottolineano l’importanza del monitoraggio dell’UACR dopo l’inizio del trattamento, poiché può fungere da prezioso indicatore surrogato dell’efficacia precoce del trattamento e offrire approfondimenti sui potenziali benefici renali e cardiovascolari a lungo termine.