L’insufficienza cardiaca è un disturbo multifattoriale e spesso rappresenta lo stadio terminale di molte malattie cardiovascolari. Questa malattia presenta uno dei più alti indici di morbilità e mortalità a livello mondiale e costi elevati per la salute pubblica.
L’insufficienza cardiaca che complica l’infarto del miocardio è comune e può essere presente al momento dell’arrivo in ospedale o svilupparsi durante il ricovero. Tra i pazienti con infarto miocardico esiste una forte associazione tra grado di scompenso cardiaco e mortalità.
Quando si assiste ad una progressione dell’infarto miocardico verso lo scompenso cardiaco, si verificano differenti adattamenti acuti e cronici, tra cui i più studiati sono l’iperattività neuroumorale, il rimodellamento cardiaco e la risposta infiammatoria. Proprio quest’ultima è stata analizzata in un recente studio che ha voluto valutare se gli autoanticorpi che si generano in corso di infarto del miocardio, mediano la progressione della malattia o sono un sottoprodotto del danno cardiaco.
Lo studio
Il lavoro, apparso sulle pagine dell’American Journal of Physiology – Heart and Circulatory Physiology, ha caratterizzato lo sviluppo dell’insufficienza cardiaca in un modello animale di cardiopatia ischemica. Per fare questo sono stati utilizzati topi agammaglobulinemici, in grado di produrre cellule-B funzionanti, ma privi della capacità di sintetizzare IgM secretorie o eseguire la commutazione di classe dell’immunoglobulina, con una conseguente completa assenza di anticorpi.
I risultati dello studio
I risultati hanno evidenziato come l’agammaglobulinemia non ha influenzato la sopravvivenza complessiva dopo l’infarto, ma ha comportato una significativa riduzione delle dimensioni dell’infarto.
Le analisi ecocardiografiche hanno dimostrato che rispetto ai controlli infartuati, i topi agammaglobulinemici hanno evidenziato, al 56 ° giorno dopo l’infarto, una migliore funzionalità cardiaca e un rimodellamento ridotto. Queste differenze sono rimaste significative anche quando sono stati confrontati animali con dimensioni dell’infarto simili.
I topi agammaglobulinemici infartuati hanno anche evidenziato ridotti livelli di espressione miocardica di composti noti per promuovere un rimodellamento sfavorevole, come le metalloproteasi, alcuni geni che codificano per il collagene e l’interleuchina 6.
Una valutazione del potenziale di reattività cardiaca nel plasma degli animali con infarto miocardico, non agammaglobulinemici, ha rivelato la presenza di anticorpi diretti contro la cicatrice miocardica ed epitopi sensibili alla collagenasi.
Inoltre, lo studio ha dimostrato come le immunoglobuline G si accumulavano nei tessuti cicatriziali dei topi infartuati e rimanevano in stretta vicinanza con le cellule che esprimevano i recettori Fc-gamma, suggerendo una relazione tra IgG e questo recettore.
Sistema immunitario e scompenso cardiaco
Nel loro complesso, gli articolati risultati di questo studio confermano l’importante ruolo giocato dagli anticorpi nella progressione verso lo scompenso cardiaco su base ischemica. Al tempo stesso forniscono nuove informazioni sui meccanismi alla base di questo fenomeno.
Il coinvolgimento del sistema immunitario nell’evoluzione del danno cardiaco merita certamente ulteriori approfondimenti, sia per meglio precisare i fenomeni fisiopatologici coinvolti, sia per le possibili applicazioni terapeutiche.
Franco Folino