Nei pazienti con stenosi carotidea, la causa più comune di ictus è l’embolizzazione e il rischio è fortemente correlato alla gravità della stenosi. Con la terapia medica, il rischio annuale di ictus omolaterale in pazienti con stenosi carotidea asintomatica è circa lo 0,5%. Nonostante questo, il paziente viene solitamente avviato ad un intervento di endoarterectomia carotidea o stenting.
La rivascolarizzazione carotidea mediante le due metodiche causa un allargamento del lume vasale, la rimozione della placca o la copertura della placca con successiva endotelializzazione.
Negli ultimi anni sono stati sviluppati differenti trial clinici che hanno confrontato le due metodiche, evidenziando in generale la superiorità dello stenting rispetto all’endoarterectomia in pazienti ad alto rischio e l’equivalenza delle due tecniche in pazienti a rischio standard.
Rispetto all’endoarterectomia, l’impianto di stent è associato a un numero significativamente inferiore di casi di infarto miocardico periprocedurale e di lesioni dei nervi cranici. Al contrario, il rischio di ictus a lungo termine è simile. Non vi è peraltro un consenso sull’efficacia e sulla sicurezza comparata tra i due interventi in pazienti con stenosi asintomatica dell’arteria carotide.
Per far luce su questi controversi aspetti della vasculopatia carotidea, un gruppo di ricercatori europei ha confrontato il rischio a lungo termine di restenosi, dopo stenting ed endoarterectomia, e gli eventuali episodi di ictus ad essa correlati.
L’analisi è stata sviluppata sul database dello studio ICSS (International Carotid Stenting Study), un trial randomizzato a gruppi paralleli svolto in 50 centri di cura terziari in Europa, Australia, Nuova Zelanda e Canada. I pazienti inclusi (855 assegnati allo stenting e 858 alla endoarterectomia) avevano un’età pari o superiore a 40 anni ed una stenosi carotidea sintomatica del 50% o maggiore. Sono stati seguiti con ecografie seriali nel corso di un follow-up mediano di 4 anni. La restenosi è stata definita come un restringimento dell’arteria trattata con occlusione al 50% o più (almeno moderata) o il 70% o più (grave).
Una restenosi moderata si è verificata nel 32% dei pazienti in cui era stato impiantato uno stent (rischio cumulativo a 5 anni 40,7%) e nel 25% di quelli sottoposti a endoarterectomia (rischio cumulativo 29,6%). I pazienti con questo grado di restenosi ha presentato inoltre un rischio più elevato di ictus omolaterale rispetto ai soggetti senza restenosi considerando complessivamente la popolazione studiata e nel solo gruppo trattato con endoarterectomia. Al contrario, i pazienti trattati con stent, con restenosi, non hanno evidenziato un aumento significativo del rischio di ictus.
Nessuna differenza è stata osservata invece valutando il rischio di restenosi grave, o ictus successivo, tra i due gruppi di trattamento.
Due sono gli aspetti ben definiti che sembrano emergere dallo studio: la restenosi moderata si verifica più frequentemente dopo rivascolarizzazione con stent, piuttosto che dopo endoarterectomia; in caso di restenosi moderata aumenta il rischio di ictus omolaterale.
Al contrario molti sono gli interrogativi che questo studio solleva.
Prima di tutto ci si chiede perché i pazienti in cui viene impiantato uno stent abbiano un maggior rischio di restenosi. La risposta sta probabilmente nei differenti processi riparativi che si attuano nell’arteria trattata a seconda della modalità di intervento. Gli autori sottolineano come la restenosi che si verifica nei primi due anni dopo endoarterectomia sia solitamente attribuita ad una iperplasia neointimale, caratterizzata da una proliferazione delle cellule muscolari lisce, mentre le restenosi più tardive sono probabilmente causate da una recidiva del processo aterosclerotico. Una chiara e definitiva spiegazione alle differenze riscontrate nello studio è peraltro impossibile.
Altri interrogativi che sorgono sono di tipo pratico. Ovvero, possiamo impedire la restenosi, applicando trattamenti più aggressivi nei pazienti sottoposti a stenting? Se non riusciamo a impedire la restenosi, come impostare un’efficace terapia profilattica, nei confronti dell’ictus nei pazienti a maggior rischio?
È evidente che si tratta di quesiti molto complessi, che solo studi disegnati in modo specifico potranno contribuire a risolvere.
Domanda ancora più importante, cui il presente studio non riesce a dare chiara risposta è se vi siano differenze nel rischio di ictus tra pazienti con restenosi, trattati con stent o endoarterectomia. Il fatto che differenti studi abbiano cercato di chiarire questo punto sta a dimostrare che si tratta di una questione molto controversa o, forse, che una vera differenza non esiste o, se esiste, si verifica in gruppi particolarmente selezionati di pazienti.
Una sola ipotesi viene prospettata dagli autori, supponendo una maggiore sicurezza degli stent in questo senso. È possibile che l’endotelio appena formato sulla superficie dello stent, conferisca un certo grado di protezione contro gli eventi tromboembolici in caso di restringimento del lume.
Franco Folino