Sappiamo con certezza che il diabete fa incrementare il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, ma forse non tutti sanno che alcuni farmaci per il trattamento del diabete sono stati associati, in modo indipendente, ad un incremento di rischio per alcune patologie cardiovascolari, ed in particolare allo scompenso cardiaco.
Un recente studio apparso sul British Medical Journal ha voluto chiarire questi controversi aspetti, valutando i più comuni antidiabetici, inclusi nuovi farmaci quali gliptine e glitazoni.
La sperimentazione si è svolta in Gran Bretagna e ha considerato una popolazione di 469.688 soggetti, con diabete tipo 2, e di età compresa tra i 25 e gli 84 anni.
I risultati hanno evidenziato come l’utilizzo del glitazone si associava ad una riduzione del 23% del rischio di mortalità per qualsiasi causa, del 26% del rischio di scompenso cardiaco e del 25% del rischio di malattia cardiovascolare.
Dal canto loro le gliptine inducevano una riduzione del 18% della mortalità per qualsiasi causa e del 14% il rischio di scompenso cardiaco, mentre non vi erano associazioni significative nei confronti del rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. Anche la metformina si associava ad una riduzione di questi stessi parametri di rischio (41%, 30%, 24%). Al contrario, le sulfaniluree si associavano ad un incremento del 10% del rischio di mortalità e l’insulina ad un incremento addirittura del 47%. Quest’ultimo farmaco incrementava anche il rischio di scompenso cardiaco (32%) e di malattie cardiovascolari (23%). Nell’analisi erano evidentemente considerate le terapie di associazione.
Questi dati sono estremamente interessanti e evidenziano come vi siano chiare differenze nel profilo di rischio indotto dai differenti trattamenti antidiabetici.
In particolare, sembra che l’utilizzo di nuovi farmaci quali gliptine e glitazoni induca una riduzione della mortalità per qualsiasi causa, nonché il rischio di sviluppare insufficienza cardiaca e malattie cardiovascolari. Resta da chiedersi se l’aumento di rischio osservato con l’utilizzo dell’insulina non sia dovuto alla situazione clinica complessiva del paziente, piuttosto che all’utilizzo del farmaco stesso.
Sulla scia di questi risultati, nei prossimi anni potrebbero esserci significative modifiche nelle linee guida per il trattamento del diabete tipo 2.