Assumere aspirina e anticoagulanti assieme espone i pazienti con sindrome coronarica cronica ad alto rischio aterotrombotico ad un rischio maggiore di morte cardiovascolare, infarto del miocardio, ictus e altri eventi cardiovascolari. Lo rivela un recente studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine, che dimostra inoltre, come peraltro atteso, un aumento dei sanguinamenti maggiori nei soggetti trattati con i due farmaci.
Il rischio tromboembolico nella malattia coronarica
L’acido acetilsalicilico, noto più comunemente con il nome commerciale di Aspirina è un farmaco cardine per il trattamento dei pazienti con una malattia delle coronarie. L’azione di questo medicinale, che inibisce l’aggregazione piastrinica, consente di prevenire eventi cardiovascolari rilevanti come l’infarto miocardico e l’ictus. L’aspirina viene assunta non soltanto dai soggetti con malattia coronarica stabile, ma anche dai pazienti che hanno già avuto un infarto o sono stati sottoposti ad una rivascolarizzazione dell’albero coronarico, con by-pass o con un trattamento transcatetere.
D’altra parte, con il progressivo invecchiamento della popolazione sono sempre più frequenti i casi in cui si sviluppa una fibrillazione atriale, un’aritmia che espone ad un rischio significativo di eventi tromboembolici. Per prevenirli vengono abitualmente prescritti farmaci anticoagulanti che interferiscono con i processi della coagulazione, evitando la formazione di trombi all’interno del cuore.
Ci si trova così sempre più spesso a trattare soggetti con entrambi queste condizioni: una cardiopatia coronarica e una fibrillazione atriale. In questi pazienti, andrebbero quindi sempre prescritti aspirina e anticoagulanti insieme?
Il Trial AQUATIC
Per rispondere a questa domanda è stato disegnato il Trial AQUATIC, uno studio prospettico, in doppio cieco, randomizzato e controllato con placebo, condotto in 51 centri della Francia.
La ricerca ha incluso 872 pazienti con sindrome coronarica cronica sottoposti in precedenza all’impianto di stent, ad alto rischio aterotrombotico e in trattamento con terapia anticoagulante orale a lungo termine.
Questi soggetti sono stati così divisi in due gruppi: il primo ha assunto anticoagulante e aspirina (100 mg una volta al giorno); il secondo un anticoagulante e un placebo.
L’end point primario dello studio era un composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus, embolia sistemica, rivascolarizzazione coronarica o ischemia acuta degli arti. L’end point principale di sicurezza era il sanguinamento maggiore.
L’arruolamento dei pazienti nello studio è stato interrotto anticipatamente, dopo un follow-up mediano di 2,2 anni, perché un’analisi preliminare dei dati aveva evidenziato un eccesso di decessi per qualsiasi causa nel gruppo trattato con aspirina e anticoagulante.
Più eventi gravi assumendo aspirina e anticoagulanti insieme
I risultati della sperimentazione hanno infine dimostrato come l’end point primario si sia verificato nel 16,9% dei pazienti trattati con aspirina e nel 12,1% di quelli assegnati al gruppo placebo.
La morte per qualsiasi causa si è verificata nel 13,4% dei soggetti inclusi nel gruppo aspirina e nell’8,4% di quelli appartenenti al gruppo placebo.
Per quanto riguarda i sanguinamenti gravi, come era facile prevedere, questi si sono verificati più frequentemente nei pazienti che assumevano entrambi i farmaci (10,2% versus 3,4%).
In base a questi risultati, i ricercatori affermano che anche in una popolazione ad alto rischio come quella studiata, le probabilità di sviluppare un evento aterotrombotico, come infarto del miocardio o ictus, non sembrano ridursi aggiungendo aspirina agli anticoagulanti orali.
Infine, i ricercatori segnalano come le donne erano sottorappresentate nella popolazione studiata, solo il 15% circa, il che potrebbe limitare la generalizzabilità dei risultati ottenuti. D’altra parte, sottolineano un punto di forza del loro studio: non sono stati inclusi solo soggetti che assumevano anticoagulanti per la presenza di una fibrillazione atriale, ma anche per altre indicazioni.
Benefici e limiti di una terapia antiaggregante e anticoagulante in associazione
Questo non è il solo studio che ha valutato benefici e limiti di una terapia antiaggregante e anticoagulante in associazione. Altre sperimentazioni erano già state svolte in precedenza, anche utilizzando differenti antiaggreganti, come il clopidogrel, con risultati sostanzialmente simili.
Sembra quindi ormai indiscutibile come nella maggior parte dei pazienti con cardiopatia coronarica cronica che devono assumere anche un anticoagulante orale non sia necessario, anzi semmai controproducente, associare un trattamento con aspirina.
Sarebbe ora necessario chiarire in modo puntuale quali sono, se esistono, i pazienti ad altissimo rischio tromboembolico, che potrebbero comunque beneficiare di questa associazione di farmaci.
Franco Folino








