
I medici dell’Istituto di malattie infettive dell’ospedale Ditan di Pechino, Capital Medical University, hanno scoperto che alcuni pazienti avevano risultati positivi ai test di reazione a catena della fluorescenza della polimerasi in tempo reale (RT-PCR) per SARS-CoV-2 nell’espettorato o nelle feci, dopo che i tamponi faringei erano diventati negativi.
Coronavirus: l’utilità dei tamponi faringei
I tamponi faringei sono ampiamente utilizzati per determinare la possibilità di dimettere con un paziente dall’ospedale o dall’isolamento con la sicurezza che non possa più rappresentare una fonte di contagio. Questi nuovi risultati destano preoccupazioni perché i pazienti con tamponi faringei negativi potrebbero in realtà essere ancora portatori del virus e quindi potenzialmente diffondere il contagio. Prima della dimissione potrebbe quindi essere necessario eseguire ulteriori test su differenti campioni biologici.
Coronavirus: test su espettorato e feci
Gli autori hanno identificato retrospettivamente un campione di convenienza di pazienti ricoverati al Beijing Ditan Hospital, Capital Medical University, con una diagnosi di COVID-19 e test di RT-PCR accoppiati a tamponi faringei, espettorato o feci.
Tra 133 pazienti ricoverati con COVID-19 dal 20 gennaio al 27 febbraio 2020, gli autori hanno identificato 22 pazienti con un espettorato positivo iniziale o al follow-up, o campioni fecali accoppiati con un tampone faringeo negativo di follow-up. Sono stati osservati esami RT-PCR positivi per SARS-CoV2 condotti su espettorato e sulle feci, rispettivamente fino a 39 e 13 giorni, dopo che i campioni faringei ottenuti erano risultati negativi.
I limiti dello studio
I ricercatori avvertono che lo studio non è stato condotto in modo sistematico con il campionamento di tutti i pazienti in modo standardizzato e non è noto se questi risultati positivi dell’espettorato o delle feci indicano che il paziente potrebbe essere ancora contagioso per gli altri. Tuttavia, i loro risultati sono potenzialmente importanti perché suggeriscono che sono necessari ulteriori studi in questo settore. L’articolo completo, pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista Annals of Internal Medicine, è disponibile gratuitamente.