Il riscaldamento degli oceani e i cambiamenti nei programmi di gestione della pesca saranno in futuro le principali cause dell’aumento dei livelli di metilmercurio in alcuni pesci consumati dall’uomo. È questo quanto riporta un articolo pubblicato online questa settimana sulla rivista Nature. Gli autori sottolineano che questo avviene nonostante vi siano chiare evidenze di una diminuzione delle concentrazioni di questa tossina nell’acqua di mare dalla fine degli anni ’90.
Dall’atmosfera agli oceani, fino all’uomo
La maggior parte del mercurio emesso da fonti naturali o dall’uomo finisce col depositarsi negli oceani. Qui intervengono alcuni microrganismi che lo convertono in metilmercurio. I pesci vengono facilmente in contatto con questa tossina che si concentra nelle loro carni.
Molte persone si affidano ai pesci per l’alimentazione, e questi diventano così una fonte di esposizione umana al metilmercurio, una potente sostanza neurotossica. L’esposizione a questa neurotossina dei bambini quando erano nell’utero materno possono evidenziare deficit neurocognitivi, un minore di quoziente d’intelligenza, deficit della memoria e dell’attenzione. Negli adulti l’esposizione al metilmercurio è stata correlata ad un rischio maggiore di disturbi cardiovascolari, compreso l’infarto del miocardio.
Ridurre le emissioni di mercurio antropogenico
Per mitigare i rischi dell’esposizione a metilmercurio, nel 2017 è stato introdotto un trattato globale (la Convenzione di Minamata) per ridurre le emissioni di mercurio antropogenico. Tuttavia, quando sono stati fissati obiettivi del trattato, non è stato preso in considerazione il fatto che i cambiamenti in corso negli ecosistemi marini potrebbero influenzare l’accumulo di metilmercurio nei pesci frequentemente consumati dall’uomo, come merluzzo e tonno.
Il metilmercurio nei pesci: lo studio
Amina Schartup, Elsie Sunderland e colleghi hanno valutato l’impatto dell’aumento delle temperature e del sovrasfruttamento della pesca sulle concentrazioni di metilmercurio nei pesci. Hanno utilizzato più di 30 anni di dati sulle concentrazioni di metilmercurio dell’ecosistema, dei sedimenti e dell’acqua di mare dal Golfo del Maine, nell’Oceano Atlantico nord-occidentale.
Le concentrazioni di metilmercurio nei tessuti del merluzzo nordico (Gadus morhua) sono aumentate fino al 23% tra gli anni ’70 e gli anni 2000. Gli autori attribuiscono questi cambiamenti alla pesca eccessiva e al cambiamento della dieta dei pesci, con il merluzzo nordico che fa maggiore affidamento su prede più grandi, come aringhe e aragoste, che hanno concentrazioni più elevate di metilmercurio rispetto ad altri pesci consumati negli anni ’70.
Temperatura dell’acqua e metilmercurio
Gli autori hanno anche analizzato gli effetti dei recenti sbalzi di temperatura sull’accumulo di metilmercurio nel tonno rosso dell’Atlantico. Hanno scoperto che gli effetti dell’aumento della temperatura dell’acqua di mare da un valore minimo, misurato nel 1969, potrebbero contribuire a un aumento stimato del 56% delle concentrazioni di metilmercurio in questa specie.
Il riscaldamento è stato precedentemente collegato ad aumenti delle concentrazioni di metilmercurio in alcuni pesci, ma l’entità di questi cambiamenti nelle specie selvatiche non era stata completamente chiarita.
Sebbene, secondo quanto riferito, le emissioni globali di mercurio siano aumentate, questo studio indica che il riscaldamento degli oceani e la pesca hanno un ruolo nel modulare le concentrazioni di mercurio nei pesci.