Non ci sono dubbi che il fumo incrementi il rischio di eventi cardiovascolare. Non sappiamo però con precisione, se le politiche antifumo messe in atto dai governi siano in grado di influenzare l’incidenza delle malattie cardiovascolari.
Risponde a questo quesito un lavoro apparso recentemente sulle pagine di Circulation. Gli autori, nordamericani, non solo hanno valutato le associazioni tra politiche antifumo e malattie cardiovascolari incidenti, ma anno preso anche in considerazione i fattori sociodemografici e i fattori di rischio cardiovascolare.
Lo studio CARDIA
I dati sono stati ottenuti dallo studio CARDIA (Coronary Artery Risk Development in Young Adults) e hanno riguardato quasi 4.000 individui. I parametri clinici sono stati correlati all’applicazione locale di misure che impediscono il fumo nei bar, ristoranti e luoghi di lavoro non ospedalieri.
Nel corso di un follow-up medio di 20 anni, l’incidenza di eventi cardiovascolari è stata di 2,5 per 1.000 persone/anno. L’80% dei partecipanti viveva in aree con politiche antifumo nei ristoranti, il 67% con politiche simili nei bar e il 65% nei luoghi di lavoro non ospedalieri. I soggetti che vivevano in un’area con politiche antifumo hanno avuto una minore incidenza di eventi cardiovascolari rispetto a quelli che vivevano in aree prive di queste politiche sanitarie.
I risultati di questo accurato studio, confermano quanto già era emerso precedentemente in valutazioni meno rigorose. Le politiche antifumo fanno ridurre le malattie cardiovascolari e questo indipendentemente dalla presenza di fattori di rischio predisponenti.
Va sottolineato che questa sperimentazione ha considerato soggetti di mezza età, quindi relativamente giovani. Proprio in questa popolazione il fumo, e le malattie ad esso correlate, possono avere costi sociali e sanitari molto elevati. Le politiche tese a ridurre il consumo di tabacco possono avere quindi effetti molto positivi nel breve e nel lungo termine.
Franco Folino