L’ipotensione ortostatica è un problema clinico tanto comune nella popolazione, in particolare tra i soggetti anziani, quanto raramente diagnosticato. Anche quando un paziente si presenta al medico per un’episodio di perdita transitoria della coscienza, un episodio lipotimico o sintomi vertiginosi, molto spesso viene omesso il controllo della pressione arteriosa nel passaggio dal clino all’ortostatismo.
Oltre alla sintomatologia tipica, l’ipotensione ortostatica sembra anche associarsi ad un maggiore rischio di demenza. A conferma di quanto già dimostrato da precedenti sperimentazioni, che avevano indicato questo effetto avverso, arriva ora un nuovo studio che ha valutato la relazione tra questa malattia e la comparsa di declino cognitivo o demenza.
Sono stati inclusi nella sperimentazione anziani ipertesi, di 80 o più anni, già arruolati nello studio HYVET (Hypertension in the Very Elderly Trial).
La presenza di una ipotensione ortostatica era definita dalla riduzione della pressione sistolica di almeno 15mmHg e da una riduzione della pressione diastolica di almeno 7mmHg, dopo 2 minuti di ortostatismo. L’ipotensione ortostatica subclinica sintomatica, è stata definita come una caduta della pressione al di sotto dei limiti precedentemente fissati, ma con sintomi riferiti, come sensazione di testa vuota o debolezza.
All’interno del gruppo di studio originario, sono stati identificati 538 pazienti con ipotensione ortostatica e questa è risultata associata ad un aumento per il rischio di declino cognitivo, con un Hazard Ratio di 1,36. Per la demenza questo indice è risultato pari a 1,34. Anche l’ipotensione ortostatica subclinica è risultata associata ad un aumentato rischio di declino cognitivo (HR 1,56) e demenza (HR 1,79).
Lo studio è andato oltre all’analisi dei dati raccolti nello studio HYVET e li ha combinati in una metanalisi con quanto già pubblicato in letteratura. Questo approfondimento ha evidenziato un aumento del 21% del rischio di demenza nei pazienti con ipotensione ortostatica.
I risultati ottenuti dimostrano quindi un consistente aumento del rischio di demenza nei pazienti che presentano un significativo calo di pressione in ortostatismo. Anche se non è dimostrato che contrastare questa alterazione dei valori pressori possa far rientrare il livello di rischio nella normalità, questi dati ci spingono a una maggiore attenzione verso questa condizione, che può essere diagnosticata facilmente, in pochi minuti.
La diagnosi di ipotensione ortostatica
Va notato che lo studio descritto non ha adottato i criteri diagnostici comunemente utilizzati per diagnosticare l’ipotensione ortostatica, ovvero una riduzione sostenuta della pressione arteriosa sistolica superiore ai 20 mmHg o una riduzione della pressione diastolica superiore ai 10 mmHg, entro 3 minuti dal passaggio all’ortostatismo.
Peraltro, già precedenti studi avevano dimostrato come l’ipotensione ortostatica si associa ad un aumento della morbilità e mortalità cardiovascolare e cerebrovascolare.
Molto spesso questa condizione, dovuta principalmente a un alterato funzionamento dei meccanismi di controllo neurovegetativi che regolano l’omeostasi della pressione arteriosa, è del tutto asintomatica e si possono osservare marcate riduzioni della pressione arteriosa in ortostatismo, senza che il soggetto riferisca alcun disturbo. Questo fenomeno è legato probabilmente ad un buon funzionamento del sistema di autoregolazione del circolo cerebrale, che nel tempo si adatta a sopportare riduzioni rilevanti della pressione arteriosa, e permette di attutire gli effetti del calo di pressione centrale, vasodilatando il letto vascolare cerebrale.
Una volta raggiunta la diagnosi è altrettanto importante identificare le cause sottostanti, che possono essere banali, come una semplice disidratazione, o più rilevanti, come una insufficienza autonomica, legata o meno a specifiche patologie neurologiche. La precisazione eziologica della malattia consentirà poi di programmare la cura più adatta.
Va ricordato infine che molto spesso l’ipotensione ortostatica è iatrogena, dovuta perlopiù a trattamenti per l’ipertensione arteriosa troppo aggressivi. Il fatto che lo studio di cui abbiamo parlato abbia analizzato proprio un gruppo di pazienti ipertesi ne è la conferma.
Franco Folino