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La trombosi correlata ai dispositivi di chiusura dell’auricola sinistra: poco frequente, ma gravata da un più alto tasso di ictus ed embolia sistemica

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Il dispositivo Watchman/Courtesy Boston Scientific

La fibrillazione atriale è l’aritmia sostenuta più comune ed è una delle principali cause di ictus ed embolia sistemica. La prevenzione si basa principalmente sull’utilizzo di anticoagulanti orali ma, considerando che circa il 90% dei trombi che li causano si forma nell’auricola sinistra, la sua chiusura con un dispositivo occludente rappresenta un approccio non farmacologico alternativo, da utilizzare in soggetti selezionati.

Secondo le più recenti linee guida della Società Europea di Cardiologia, l’impianto di questi dispositivi sarebbe indicato in pazienti con fibrillazione atriale e controindicazioni al trattamento anticoagulante a lungo termine. Ad esempio in quelli con un precedente sanguinamento maggiore in assenza di cause reversibili (Classe IIb, B).

Le meta-analisi di studi clinici randomizzati dimostrano tassi simili di ictus confrontando una prevenzione fatta con chiusura dell’auricola, rispetto alla terapia con antagonisti della vitamina K. Recenti studi osservazionali prospettici dimostrano un miglioramento nella sicurezza delle procedure di impianto rispetto al passato. In particolare, un vasto registro europeo ha indicato una percentuale di successo all’impianto del 98%, con un’incidenza di complicanze riferibili alla procedura, a 30 giorni, del 4%.

Quando si posiziona il dispositivo, si introduce comunque nell’auricola un materiale che presenta inevitabilmente un rischio trombotico, per quanto molto contenuto.

Per cercare di valutare con precisione questo rischio, arriva ora, sulle pagine di Circulation, una ricerca realizzata da un gruppo di ricercatori statunitensi che ha analizzato incidenza, predittori ed esiti clinici dei fenomeni trombotici correlati al dispositivo, in una larga popolazione in cui era stato impiantato l’apparato Watchman. La sperimentazione comprendeva pazienti già inclusi negli studi multicentrici PROTECT AF o PREVAIL, o nei registri CAP (Continued Access to PROTECT AF) o CAP2 (Continued Access to PREVAIL).

Il dispositivo Watchman

Per valutare la presenza di trombi adesi al dispositivo, negli studi PROTECT AF e PREVAIL, sono stati eseguiti ecocardiogrammi transesofagei a 45 giorni, 6 mesi e 12 mesi dall’impianto. Nei registri CAP e CAP2, questo esame è stato eseguito a 45 giorni e 12 mesi.

L’età media dei 1.739 pazienti analizzati era di 74 anni e i punteggi medi CHA2DS2-VASc e HAS-BLED erano rispettivamente di 4 e 2.

Una trombosi correlata al dispositivo è stata rilevata nello 0,8% dei pazienti a 45 giorni, nell’1,7% a 6 mesi e nell’1,8% a 12 mesi. Nei pazienti che sono stati sottoposti a ecocardiogramma transesofagea al di fuori del protocollo i trombi sono stati rilevati in un 18,5% dei casi.

Durante il follow-up, il 25% dei pazienti con trombi correlati al dispositivo hanno presentato un ictus ischemico o un’embolia sistemica rispetto al 6,8% dei pazienti che non presentavano trombosi.  Non è stata però rilevata alcuna differenza nella mortalità cardiovascolare, per cause sconosciute o per la mortalità per qualsiasi causa.

Le curve di Kaplan-Meier confermano che la presenza di trombosi correlata al device si associa a tassi più elevati di ictus ischemico/embolia sistemica e ictus per tutte le cause/embolia sistemica, con rapporti di rischio rispettivamente di 3,9 e 4,2.

All’analisi multivariata, forti predittori di trombosi correlata al dispositivo sono stati: la presenza di una fibrillazione atriale permanente, la storia di attacco ischemico transitorio o ictus, una malattia vascolare e il diametro dell’auricola sinistra.

I risultati di questo importante studio sembrano presentare esiti per certi versi contrastanti.

La trombosi del dispositivo si verifica in circa il 3,7% dei casi e quando è presente si associa ad una più elevata incidenza di ictus o embolia sistemica. D’altra parte però, si contrappone il rilievo che solo una minoranza dei pazienti con trombosi del dispositivo ha un ictus o un’embolia sistemica (26,2%). La sorgente embolica sembra non essere diversa. In alternativa, per ammissione degli stessi autori, i veri tassi di incidenza degli ictus ischemici correlati alla trombosi del dispositivo potrebbero essere stati sottovalutati per falsi negativi all’ecocardiografia transesofagea.

Altro elemento sostanziale è che il tasso di ictus ischemico osservato nella popolazione dello studio, è simile a quello atteso per una coorte con indice CHA2DS2-VASc simile, trattata con anticoagulanti orali.

Questo studio certamente chiarisce alcuni aspetti, ma solleva al tempo stesso non pochi interrogativi. È necessario in tutti i pazienti un rigoroso follow-up con eco transesofageo? Con che intervalli? Nei pazienti in cui si rilevano trombi adesi al dispositivo va iniziata una terapia anticoagulante? Per quanto tempo? E soprattutto, ha senso profilassare con antiaggreganti tutti i pazienti sottoposti ad impianto di dispositivo occludente?

Non ci resta che attendere nuovi studi che risolvano questi interrogativi, nel frattempo appare evidente che l’impianto di un dispositivo di occlusione dell’auricola sinistra non può esimere da uno stretto programma di sorveglianza di questi pazienti.

 

Franco Folino

 

Circulation: 137 (19)

 

Srinivas R. Dukkipati, et al. Device-Related Thrombus After Left Atrial Appendage Closure: Incidence, Predictors, and Outcomes. Circulation 2018.

 

 

 

 

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