L’acido acetilsalicilico (ASA) è forse tra i farmaci più prescritti al mondo, con un largo spettro di indicazioni che culminano nella prevenzione degli eventi ischemici cardiaci e cerebrali. Non sono però pochi i casi in cui questo farmaco viene prescritto su base empirica, esponendo il paziente ad effetti collaterali non trascurabili. Secondo i dati OsMED 2016, l’ASA è risultato al quarto posto nella classifica dei principi attivi più consumati in Italia.
L’assunzione di ASA è gravata da un rischio non indifferente di sanguinamenti, in particolare del tratto gastrointestinale superiore, e solo l’associazione con antisecretori può contribuire a ridurre sostanzialmente questo rischio.
Solitamente questo farmaco è assunto per periodi molto prolungati, ma non vi sono stati trial clinici che abbiano analizzato il rischio di sanguinamento nel lungo termine.
A colmare questa lacuna arriva sulle pagine di The Lancet uno studio che ha cercato di determinare i rischi età specifici, la sede, la gravità, gli esiti e i predittori delle complicanze emorragiche, in pazienti trattati con ASA per la prevenzione secondaria degli eventi vascolari ischemici. E’ stato inoltre stimato l’effetto di un trattamento con inibitori di pompa protonica (PPI) sulla riduzione degli eventi emorragici.
I 3.166 pazienti considerati nell’analisi sono stati derivati dallo studio OXVASC ed erano in trattamento con antiaggreganti dopo aver avuto un TIA, un ictus o un infarto miocardico. La metà aveva un’età maggiore o uguale a 75 anni e il 18% aveva 85 anni o più.
Sono stati registrati complessivamente 405 sanguinamenti, di cui 187 maggiori: 162 (40%) originavano dal tratto gastrointestinale superiore, di questi 97 erano maggiori. Il rischio annuale di sanguinamento è risultato del 3,36% (1,46% per i sanguinamenti maggiori).
Il rischio di sanguinamenti minori non era correlato all’età e il rischio per i sanguinamenti maggiori non aumentava con l’età considerando il sottogruppo di pazienti con età inferiore ai 70 anni. Il rischio annuale medio per sanguinamenti maggiori nei pazienti con TIA o ictus, più giovani di 75 anni era dell’1,1%, mentre il rischio medio annuale per i sanguinamenti maggiori è aumentato rapidamente al di sopra dei 70 anni, raggiungendo il 4,1% per chi aveva 85 anni o più.
Nel corso del follow-up, si sono verificati 489 eventi ischemici non fatali e 208 fatali. Calcolando il rapporto tra eventi ischemici ed eventi emorragici maggiori, questo è risultato aumentare con l’età. In particolare il rischio di eventi emorragici attribuibili al trattamento con ASA si è avvicinato molto al rischio ischemico nei pazienti con età avanzata (75–84 anni 0,32, ≥85 anni 0,46).
E’ stato infine calcolato il numero di pazienti che devono essere trattati con PPI, per prevenire un sanguinamento maggiore in un follow-up di 5 anni. Questo è risultato di 80 per i pazienti più giovani di 65 anni, 75 nella fascia 65-74 anni, 23 per la fascia 75-84 e 21 per chi aveva 85 anni o più.
I risultati di questo lavoro sembrano evidenziare con chiarezza come il rischio emorragico nei pazienti trattati con ASA incrementi progressivamente con l’età, in particolare oltre i 75 anni, con un aumento non solo del numero degli eventi, ma anche della loro gravità. Proprio i soggetti in questa fascia di età potrebbero quindi beneficiare maggiormente di un trattamento preventivo con PPI.