I biomarcatori per lo scompenso cardiaco sono indici che permettono non solo di valutare l’evoluzione della malattia nel tempo, ma anche di stratificare la prognosi nel singolo paziente.
Tra le differenti molecole utilizzate, le più conosciute sono il peptide natriuretico cerebrale, il BNP, e il frammento amino-terminale del BNP, l’NT-proBNP. Negli ultimi tempi la ricerca ha però identificato nuovi biomarcatori più sensibili e specifici, come il pro-peptide natriuretico atriale medio-regionale (MR-proANP), la pro adrenomedullina medio-regionale (MR-proADM), la troponina ad alta sensibilità, l’ST2 solubile (sST2), il fattore di crescita e differenziazione 15 (GDF-15) e la Galectina- 3. Questi differenti biomarcatori riflettono i molteplici processi fisiopatologici che sono coinvolti nello sviluppo e nella progressione dello scompenso cardiaco: dall’insulto miocardico all’infiammazione, fino al rimodellamento.
Oltre alle molecole fin qui citate, esistono però altre sostanze, meno specifiche, che possono fornire utili informazioni sulla progressione e sulla prognosi dello scompenso cardiaco, come la PCR e la creatinina urinaria.
Proprio quest’ultima è stata oggetto di una recente analisi nell’ambito del progetto GISSI-HF, che ha cercato di identificare le caratteristiche dei pazienti che si associavano al riscontro di valori ridotti di creatinina urinaria, misurata in modo casuale, e il suo valore nel predire l’esito clinico della malattia.
Lo studio ha incluso 2130 pazienti in classe NYHA II-III-IV e l’end point principale era un composito di prima occorrenza di mortalità per qualsiasi causa, oppure ospedalizzazione per scompenso cardiaco.
I pazienti con creatinina urinaria bassa (quartile inferiore) avevano un’insufficienza cardiaca più severa, una peggiore funzionalità renale, un più elevato rapporto albumina/creatinina e facevano più spesso ricorso alla furosemide. Durante un follow-up mediano di 2,8 anni, il 31% dei pazienti ha fatto registrare l’end point principale e la sua occorrenza si è associata in modo significativo ad un basso valore di creatinina urinaria (HR 2.22). Un basso valore di creatinina urinaria è risultato inoltre associato ad un aumento della mortalità per qualsiasi causa, nonché ad un aumento del rischio per il ricovero a causa di scompenso cardiaco.
Questa analisi sembra quindi indicare che anche la creatinina urinaria possa essere utilizzata in modo proficuo per la stratificazione del rischio nei pazienti con scompenso cardiaco. Ancor più potrà probabilmente essere impiegata in associazione alla valutazione di altri biomarcatori più specifici per lo scompenso cardiaco, per aiutare il clinico a comporre il quadro complessivo della malattia e indirizzare i trattamenti più appropriati.