La polmonite acquisita in comunità (CAP) viene solitamente definita come quell’infezione acuta del parenchima polmonare che si manifesta in un paziente non ospedalizzato, o ricoverato da meno di 48-72 ore, residente in una casa di riposo, o in luoghi simili, da più di 14 giorni dall’insorgenza dei sintomi. Sono maggiormente colpite le fasce di età estreme, ovvero prima del compimento dei dieci anni e dopo i 65 anni.
Questa forma di polmonite rappresenta un’evenienza importante in termini di morbilità poiché colpisce in media 5-11 persone all’anno ogni 1.000 abitanti adulti, con una mortalità globale che raggiunge mediamente il 10%-14%, ed è responsabile di circa 3-4 ricoveri per 1.000 abitanti. Si stima che causi 13 morti per 100.000 abitanti.
Gli agenti eziologici più frequentemente responsabili sono lo Streptococco pneumoniae e il Mycoplasma pneumoniae, ma in una consistente percentuale dei casi, circa il 24%, l’agente patogeno non è identificato.
Questa patologia infettiva può facilitare lo sviluppo di scompenso cardiaco?
Considerata l’incidenza di questa malattia, si tratta di un quesito estremamente importante a cui ha dato risposta un recente studio apparso sul British Medical Journal.
Sono stati confrontati 4.988 pazienti con CAP, ed un’età maggiore di 17 anni, e un gruppo di controllo di pari età.
L’end point principale dello studio era lo scompenso cardiaco, che si è verificato nell’11.9% dei pazienti con CAP e nel 7.4% dei soggetti di controllo. L’incidenza è stata di 1.7 o 0.9 casi per 100 persone anno rispettivamente. I pazienti con CAP hanno inoltre evidenziato una probabilità più elevata di essere ricoverati per scompenso cardiaco, sia entro i 90 giorni successivi alla dimissione dopo l’evento indice (1,4% v 0.6%), sia entro un anno (3.3% v 1.4%). Anche per quanto riguarda la mortalità, i pazienti con CAP hanno evidenziato una prognosi peggiore nel periodo di follow-up (mediano 9.9 anni): 38,4% versus 23,9% decessi per qualsiasi causa. Questo si traduce in una mortalità di 5,2 casi per 100 persone/anno contro 2,9 casi per 100 persone/anno.
Va sottolineato che lo studio non ha incluso solo pazienti anziani, in cui è più facile attendersi uno sviluppo di insufficienza cardiaca, ma anche soggetti giovani in cui questa evenienza è piuttosto rara. Per l’esattezza, il 7.5% dei pazienti arruolati aveva meno di 25 anni, il 29.7% aveva un’età compresa tra 26 e 25 anni, il 27.5% aveva un’età compresa tra 46 e 65 anni, il 22.4% era di età compresa tra 66 e 80 anni, e il 12.9% aveva un’età superiore agli 80 anni.
I risultati di questo studio sono molto chiari ed estremamente significativi, sia dal punto di vista statistico sia da quello clinico. Considerando l’incidenza relativamente elevata di CAP, che si applica su una popolazione di soggetti anziani destinata inevitabilmente ad incrementare nel tempo, i casi di scompenso cardiaco in questi pazienti rappresentano una quota non indifferente.
Perché i pazienti con CAP sviluppano uno scompenso cardiaco?
Gli autori spiegano la maggiore incidenza di scompenso cardiaco proponendo differenti meccanismi fisiopatologici. Innanzitutto indicano la polmonite come un fattore che fa aumentare lo stress ossidativo, ed i relativi marker bioumorali, causando un incremento del rischio trombotico, una destabilizzazione delle placche aterosclerotiche e una disfunzione endoteliale. Tutti questi fenomeni porterebbero quindi ad un aumento dei casi di cardiopatia ischemica, fibrillazione atriale e ad alla riduzione della funzione ventricolare.
Quello che non sembra ancora ben definito è se la CAP è direttamente responsabile dell’insufficienza cardiaca o se questa è semplicemente il risultato finale di una complessa cascata di eventi negativi.
Se gli effetti della CAP a livello del sistema cardiovascolare sembrano quindi ben evidenti, allo stesso tempo molto resta da chiarire per quanto riguarda i meccanismi fisiopatologici di questa relazione. In particolare viene spontaneo chiedersi se i processi ipotizzati siano realistici anche nei soggetti giovani, che in numero significativo hanno composto il gruppo di studio.
Come gestire i pazienti dopo una CAP?
Quanto emerge da questa sperimentazione, suggerisce la necessità di adottare alcune semplici ma importanti misure.
Prima di tutto è necessario sviluppare più efficaci protocolli di prevenzione della CAP, in particolare attraverso la vaccinazione specifica, ancor più importante in soggetti a rischio per le malattie cardiovascolari.
Dopo un episodio di CAP i pazienti vanno seguiti con particolare attenzione, cercando di ridurre al minimo i fattori di rischio modificabili per le malattie cardiovascolari, con atteggiamenti evidentemente più pressanti rispetto a quelli che si adotterebbero di consueto.
Infine, la comparsa di dispnea in questi pazienti, dovrebbe far sospettare con più facilità la possibile insorgenza di un episodio di scompenso cardiaco.
Franco Folino