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Dal congresso ESC 2025: sospendere l’aspirina dopo infarto, la monoterapia con inibitore P2Y12 convince nei pazienti a basso rischio

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copyright American Heart Association.

Nei pazienti a basso rischio con infarto miocardico acuto, sottoposti a rivascolarizzazione completa precoce, e sottoposti a un mese di doppia terapia antiaggregante piastrinica (DAPT), la monoterapia con inibitore del P2Y12 si è dimostrata non inferiore alla DAPT protratta.

Questo risultato riguarda gli eventi avversi cardiovascolari e cerebrovascolari, riducendo al contempo il rischio di sanguinamento. Sono questi i risultati dello studio TARGET-FIRST, presentati al recente congresso della Società Europea di Cardiologia 2025 e pubblicati contemporaneamente sul New England Journal of Medicine.

TARGET-FIRST: uno studio europeo

Le attuali linee guida ESC raccomandano, dopo un intervento di rivascolarizzazione coronarica per un infarto miocardico, 12 mesi di DAPT, con aspirina associata a un inibitore del P2Y12, un altro antiaggregante piastrinico. Il ricercatore principale dello studio, il Professor Giuseppe Tarantini, dell’Università di Padova, ha spiegato: “Nessuno studio randomizzato ha precedentemente valutato la sospensione precoce dell’aspirina nei pazienti con infarto miocardico acuto, sottoposti a rivascolarizzazione completa precoce con stent moderni. In questi casi, il rischio di sanguinamento può superare il rischio ischemico residuo, rendendo la riduzione della terapia antiaggregante attraente”.

In questo studio clinico randomizzato, controllato, in aperto, condotto presso 40 centri europei, adulti idonei con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) o non-STEMI sono stati sottoposti a rivascolarizzazione completa entro sette giorni utilizzando uno stent medicato. Quindi non è stato trattato solo la coronaria responsabile dell’infarto, ma tutti i vasi con lesioni aterosclerotiche che meritavano una rivascolarizzazione.

I pazienti sono stati randomizzati 1:1 a continuare la DAPT o passare dopo un mese alla monoterapia con inibitore P2Y12 per altri 11 mesi.

L’endpoint primario dello studio era un composito di morte per tutte le cause, infarto miocardico, trombosi dello stent, ictus o sanguinamento di tipo 3/5 secondo il Bleeding Academic Research Consortium (BARC) a 11 mesi.

La non inferiorità è stata definita come una differenza assoluta ≤1,25 punti percentuali nel limite superiore dell’intervallo di confidenza bilaterale al 95%.

L’età media dei 1.942 pazienti randomizzati era di 61 anni e il 21,6% era costituito da donne.

Eventi cardiovascolari ischemici sovrapponibili, minori sanguinamenti

L’endpoint primario si è verificato nel 2,10% del gruppo in monoterapia con inibitore P2Y12 e nel 2,18% del gruppo in DAPT continuata (differenza -0,09 punti percentuali; IC al 95% da -1,39 a 1,20; p=0,021 per non inferiorità). L’infarto miocardico si è verificato nello 0,7% vs. 1,1%, la trombosi dello stent certa/probabile nello 0,1% vs. 0,0% e l’ictus ischemico nello 0,3% vs. 0,2%, rispettivamente. Il sanguinamento BARC di tipo 3/5 si è verificato nello 0,7% di ciascun gruppo.

Il principale endpoint secondario (sanguinamento BARC di tipo 2/3/5) è risultato, come prevedibile, significativamente inferiore con la monoterapia con inibitore P2Y12 (2,65% vs. 5,57%; hazard ratio [HR] 0,46; IC al 95% da 0,29 a 0,75; p=0,002).

L’esito composito orientato al paziente (morte per tutte le cause, infarto miocardico, trombosi dello stent, ictus, rivascolarizzazione ripetuta indotta da ischemia o sanguinamento BARC di tipo 2/3/5) si è verificato nel 4,5% dei casi nel gruppo in monoterapia e nel 7,2% nel gruppo DAPT (HR 0,61; IC al 95% da 0,42 a 0,89). L’aderenza alla terapia a 11 mesi è stata elevata in entrambi i gruppi (86,9% con monoterapia e 88,6% con DAPT).

Conclusioni e limiti

Il Professor Tarantini ha concluso: “Nei pazienti con infarto miocardico acuto a basso rischio con rivascolarizzazione completa precoce e assenza di complicanze dopo un mese di DAPT, il passaggio alla monoterapia con inibitore P2Y12 ha mantenuto la protezione dagli eventi ischemici e ridotto il sanguinamento. Questi risultati riflettono i benefici degli stent moderni, l’elevato successo procedurale e la terapia medica ottimale, rendendo fattibile la sospensione precoce dell’aspirina in questa popolazione selezionata”.

I risultati di questo studio sono certamente molto importanti, ma alcuni aspetti devono essere considerati con attenzione. Innanzitutto, va tenuto ben presente che questa sperimentazione ha incluso solamente pazienti a basso rischio, inoltre, la sua durata è stata piuttosto limitata, solo un anno. Sarebbe certamente interessante sapere se nel lungo periodo il vantaggio sugli eventi cardiovascolari rimane consistente.

Infine, sorprende che nell’endpoint composito siano inclusi sia eventi trombotici, sia eventi emorragici, raggruppando così eventi con fisiopatologie completamente differenti.

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