Il diabete mellito è una malattia metabolica degenerativa cronica in continua espansione, raggiungendo negli ultimi 30 anni proporzioni epidemiche, con una prevalenza mondiale che si avvicina a 400 milioni di persone.
Le complicazioni a lungo termine del diabete causano gravi morbilità quali cecità, amputazione degli arti, insufficienza renale e malattie vascolari e cardiache. Lo screening dei pazienti prima che segni e sintomi si sviluppino consente di giungere precocemente alla diagnosi e di instaurare trattamenti precoci.
La Task Force dei Servizi Preventivi degli Stati Uniti raccomanda lo screening per glicemia e il diabete di tipo 2 negli adulti di età compresa tra 40 e 70 anni, in sovrappeso o obesi, ripetendo i test ogni tre anni se i risultati sono normali.
L’American Diabetes Association raccomanda lo screening per il diabete di tipo 2 annualmente in pazienti di età pari o superiore a 45 anni o in pazienti di età inferiore a 45 anni con importanti fattori di rischio. La diagnosi può essere fatta con un livello di glucosio plasmatico a digiuno di 126 mg per dL o superiore; un livello A1C del 6,5% o superiore; un livello casuale di glucosio plasmatico di 200 mg per dL o superiore; o un test di tolleranza al glucosio orale a due ore con un livello di glucosio plasmatico di 200 mg per dL o superiore.
Un solo prelievo ematico non è generalmente sufficiente a fare diagnosi di diabete, ma un nuovo studio, pubblicato su Annals of Internal Medicine, ha cercato di valutare se due test derivati da un singolo prelievo, che valutano glicemia e HbA1c, possono fornire una diagnosi definitiva.
Per questo sono stati analizzati i dati dello studio ARIC (Atherosclerosis Risk in Communities), considerando oltre 12.000 soggetti, seguiti nel corso di un follow-up di 25 anni.
Con la nuova metodica proposta, si è posta diagnosi di diabete per livelli elevati di glucosio a digiuno (≥7,0 mmol / L [≥126 mg / dL]) e di HbA1c (≥6,5%) ottenuti da un singolo campione di sangue.
I risultati hanno evidenziato tra i pazienti analizzati, poco meno dell’8% aveva livelli elevati di glucosio a digiuno o una HbA1c elevata al basale. Tra questi, il 39% aveva entrambi i valori alterati, mentre il 61% aveva solo una misura elevata.
Il nuovo approccio sembra quindi avere una sensibilità moderata (54,9%) ma un’elevata specificità (98,1%) per l’identificazione dei casi di diabete diagnosticati durante i primi 5 anni di follow-up, ma con una specificità che aumenta fino al 99,6% entro i 15 anni.
Questo nuovo approccio alla diagnosi di diabete, basato sui dati ottenuti da un singolo campione ematico sembra quindi aprire nuove prospettive nella semplificazione della diagnosi di diabete, evidenziando un valore predittivo molto alto per la diagnosi.
Non resta che attendere le prossime linee guida sull’argomento per vedere se le società scientifiche del settore certificheranno in qualche modo il nuovo criterio diagnostico.