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Dal Congresso ESC 2025: Anticoagulanti dopo ablazione efficace della fibrillazione atriale: servono davvero?

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L'innesco di una fibrillazione atriale

L’interruzione della terapia anticoagulante orale (OAC) ha comportato un rischio inferiore di un evento composito di ictus, embolia sistemica o sanguinamento maggiore, rispetto alla continuazione della terapia con OAC nei pazienti sottoposti ad ablazione con successo per fibrillazione atriale.

Sono questi, in sintesi, i risultati di uno studio clinico presentato al recente congresso della Società Europea di Cardiologia ESC 2025. Lo studio è stato pubblicato contestualmente sul Journal of the American Medical Association.

Fibrillazione atriale e anticoagulanti

La fibrillazione atriale è un tipo comune di aritmia caratterizzata da un battito cardiaco irregolare che può far aumentare il rischio di sviluppare un ictus. L’ablazione transcatetere può essere utilizzata per alterare la conduzione elettrica in alcune aree di tessuto cardiaco che potrebbero essere implicate nello sviluppo dell’aritmia.

L’anticoagulazione orale (OAC) è raccomandata in tutti i pazienti per almeno 2 mesi dopo l’ablazione della fibrillazione atriale per ridurre il rischio di ictus o tromboembolia. Successivamente, le linee guida raccomandano di continuare la terapia con OAC a seconda del rischio di ictus del paziente.

Spiegando le ragioni per cui è stato condotto lo studio ALONE-AF, il suo ricercatore principale, il Professor Boyoung Joung della Yonsei, dell’Univeristà di Seul, Corea del Sud, ha affermato: “Molti pazienti sottoposti ad ablazione con successo e che presentano fattori di rischio per ictus continuano a ricevere la OAC per il resto della vita, sebbene non vi siano evidenze da studi randomizzati che indichino che ciò sia necessario. Abbiamo confrontato la terapia con anticoagulante diretta con la terapia senza anticoagulante in pazienti a un anno dall’ablazione con successo della fibrillazione atriale che presentavano almeno un fattore di rischio per ictus”.

Lo studio ALONE-AF

Lo studio ALONE-AF è stato uno studio di superiorità randomizzato in aperto condotto in 18 centri in Corea del Sud. I pazienti eleggibili presentavano fibrillazione atriale non valvolare, erano stati sottoposti alla loro prima ablazione transcatetere della fibrillazione atriale, non avevano avuto recidive di aritmia atriale per almeno 12 mesi dopo l’ablazione e presentavano almeno un fattore di rischio per ictus, determinato dal punteggio CHA2DS2-VASc (CHA2DS2-VASc ≥1 per gli uomini o ≥2 per le donne). I pazienti sono stati randomizzati 1:1 a ricevere una terapia anticoagulante orale diretta o nessuna terapia anticoagulante orale. I pazienti randomizzati al gruppo anticoagulante orale hanno ricevuto dosi standard di apixaban, rivaroxaban o edoxaban, a meno che non siano stati applicati criteri di riduzione della dose stabiliti.

L’endpoint primario di eventi clinici avversi netti era un composito di ictus, embolia sistemica e sanguinamento maggiore a 24 mesi.

La popolazione dello studio ha incluso 840 pazienti randomizzati con un’età media di 64 anni, di cui un quarto (25%) erano donne.

La terapia anticoagulante gravata da più eventi clinici avversi

A 24 mesi, la terapia anticoagulante orale era associata a un rischio maggiore di eventi clinici avversi netti rispetto alla non somministrazione di anticoagulanti orali (2,2% vs. 0,3%; differenza assoluta -1,9%; intervallo di confidenza [CI] al 95% da -3,5 a -0,3; log-rank p=0,024).

Non è stata osservata alcuna differenza significativa nell’incidenza di ictus ischemico o embolia sistemica a 24 mesi tra il gruppo trattato con anticoagulante orale e quello non trattato con anticoagulante orale (rispettivamente 0,8% vs. 0,3%; differenza assoluta -0,5%; IC al 95% da -1,6 a -0,6). Un sanguinamento maggiore si è verificato nell’1,4% dei pazienti nel gruppo trattato con anticoagulante orale e nello 0% nel gruppo non trattato con anticoagulante orale (differenza assoluta -1,4%; IC al 95% da -2,6 a -0,2).

Anticoagulante sì o anticoagulante no?

In conclusione, il Professor Joung ha affermato: “Nel primo studio randomizzato che ha affrontato questo quesito, l’assenza di anticoagulante orale ha comportato un rischio inferiore di eventi dannosi rispetto al trattamento con anticoagulante orale. Un limite dello studio era che non era stato progettato per rilevare una potenziale differenza negli eventi ischemici, che si sono verificati a un tasso inferiore al previsto. I nostri risultati indicano che l’anticoagulante orale permanente potrebbe non essere necessario in tutti i pazienti sottoposti ad ablazione della fibrillazione atriale con successo almeno un anno prima.”

Questo studio ha analizzato un punto critico della terapia per la fibrillazione atriale, perché sembra non coerente continuare un trattamento anticoagulante in soggetti in cui l’ablazione è stata efficace e non si rileva più la fibrillazione atriale. A questo punto però c’è un aspetto cruciale che deve essere chiarito: come possiamo essere assolutamente certi che i pazienti non hanno più recidive dell’aritmia?

 

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